SAN DONNINO (da R.Raffaelli)
Terra di poco superiore per popolazione a quella che abbiamo veduta, non avendo che 21 case con 23 famiglie, alle quali aggiungendone 10 sparse nei dintorni e alloggiate in 8 case, si avranno 33 famiglie con 199 individui, fra i quali 20 al tutto indigenti.
Giace il paese sulla sinistra sponda del Serchio, alla base dell’Appennino, in un seno formato dalle ritorte di roccie e di monti, che lo difendono da tramontana.
Il suo terreno è fertile, e la sua posizione è amena e pittoresca; da nord-ovest ha il monte di Croce, che nel 1869 fu tagliato per aprire il varco alla strada Provinciale, e congiungerla al ponte viadotto di Sala. Questo monte è un grosso e gigantesco macigno, nella sommità del quale esisteva il Castello dei Conti di S. Donnino, di cui però oggi non restano che pochi frammenti. Sorge precisamente dirimpetto a quello di Castelvecchio, detto anche Castel d’Angione, ed è separato dal Serchio, le cui acque scorrono spumanti per isvariati burroni al disotto degli scogli, in guise bizzarre ammassati. L’aspetto di questo luogo è orrido, ma pieno ad un tempo di maravigliosa bellezza, che invita i fotografi a trame spesso curiosissime vedute. Ha da ponente e in prospettiva le grotte di Castelvecchio, che quasi piramidi sorgono maestose dal letto del fiume; e in lontananza, sempre nella stessa direzione, il panorama delle Panie, del Pisanino, e del Pizzo d’Uccello.
S. Donnino trovasi nominato in una carta lucchese del 1179, citata dal Pacchi, il quale ci fa sapere che il popolo di questa Terra il 22 maggio 1370 tornò alla obbedienza della Repubblica di Lucca, alla quale si era ribellato per istigazione degli Antelminelli, signori allora di Castiglione, alla cui Vicaria apparteneva S. Donnino fino dall\’anno 1308, come rilevasi dallo Statuto Lucchese.
Questo castello ebbe pure i suoi Conti, fra i quali notiamo un Ugolino Sandonnini seguace di Arrigo VII e di Giovanni Re di Boemia: poi un Andrea, che dall’Imperatore Carlo IV venne creato Nobile dell’Impero, e di cui un figlio, per nome Pietro, fu nel 1450 Rettore della Università di Pisa.
Il nepote poi Niccolao di Bartolommeo Sandonnini diventò Segretario del Pontefice Paolo II, quindi Vescovo di Modena, e finalmente nel 1479 di Lucca. A questo prelato è dovuta la riedificazione dell’attuale chiesa parrocchiale, dedicata a S. Donnino, come si ha da una iscrizione che leggesi in una pergamena racchiusa in un tubo di piombo custodito nell’altare maggiore. Eccone le parole «Nicolaus de S. Donnino, civis et Episcopus Lucensis, hanc Ecclesiam pro salute sua et suorum a fundamentis erexit ann. a Nat. Dom. 1490».
Nell’anno precedente avea ottenuto dal Duca Ercole I per sé e pei suoi nipoti l’investitura del feudo di S. Donnino col titolo di Contea, confermato più tardi agli eredi da Alfonso I (1518) e da Ercole II (1535) Duchi di Modena. Mattia Sandonnini si riparò nel 1499 ad Empoli sotto la protezione della Repubblica Fiorentina, da cui ebbe lo stipendio di 26 fiorini al mese ed esenzione da ogni gravezza. La famiglia di lui, che vi si stabilì, si spense poi nel secolo XVIII.
Un prete di questi Conti, chiamato Domenico, fu nel 1546 Rettore di S. Pietro a Castelnuovo; ma codesto sacerdote non dovea appartenere al ramo della nobile Casa che dimorava in Garfagnana, la quale venne affatto distrutta col barbaro assassinio prima del Conte Giovanni Maria (1), poscia della moglie e dell’unico lor figlio Conte Carlo, perpetrato sui primi del 1523 dai sanguinari briganti che infestavano la Provincia ai giorni dell’Ariosto (2).
Finalmente una Contessa Vittoria di S. Donnino fu madre del celebre Cardinale Pietro Campori, nato a Castelnuovo nel 1553. Nè qui è da tacersi che un secolo innanzi, cioè il 22 aprile 1430, il Comune e gli uomini di S. Donnino si sottomisero alla Repubblica di Firenze.
Circa 30 anni fa, il Parroco di S. Donnino fu provveduto di una nuova Canonica che quegli abitanti formarono in una casa comprata dal Conte Mario Valdrighi di Modena, come risulta da rogito del Dott. Paolo Raffaelli de’ 4 giugno 1846.
La strada provinciale che traversa questo paese prosegue per circa metri 500 fino al taglio del monte di Croce, da dove volgendo a sinistra, e passando sul ponte di Sala, raggiunge Piazza al Serchio.
Note
(1) Per ciò diceva il Cantore di Orlando nella Satira V; « Qui vanno gli assassini in sì gran schiera «e Che un’altra che per prenderli ci è posta, « Non osa trar di sacco la bandiera.
(2) Dalla lettera dell’Ariosto del 30 gennaio 1524 al Duca Alfonso risulta che il Conte Giovanni da S. Donmino fu ucciso da un Ginese, che fu poi preso da quelli delle Verrucole, e posto in prigione. Egli apparteneva alla banda di Pier Madalena. E il Conte Carlo e la madre di lui furono assassinati da Gio. Madalena figlio di Pier Madalena, come rilevasi dalla lettera de’ 29 agosto 1525. La casa di quei Signori fu posta a sacco, e le robe vennero portate dai facinorosi a Don Michele Rettore di Gorfigliano nello Stato della Repubblica Lucchese. In proposito di questo assassinio il Duca scriveva all’Ariosto il 23 maggio 1524 « Perché lo assassinamento nella persona di Conte Carlo da S. Donnino e della madre, con rapimento delle lor robe, fu tanto atroce e di si malo esempio, e tanto ci dispiacque, che sempre avemo giudicato che tutti quelli che ne furon partecipi e colpevoli meritino d\’esser severissimamente puniti, e desideriamo che la giustizia abbia loco… vi replichiamo che non solamente contra quel Iacopo Buoso che avete nelle mani, ma anco contra qualunque altro capitasse nelle vostre forze, che in modo alcuni avesse colpa nel detto assassinamento, volemo che possiate procedere, condannare ed eseguire rigidamente, secondo che ricerca la natura del caso, non come Capitano, ma come Commissario ». L’Ariosto poi in ordine agli oggetti derubati si dirigeva alla Signoria di Lucca con queste parole: Magnifici ac potentes domini, domini osservandissimi etc. « A’ giorni passati scrisse a V.S. di certe robe e forzieri sono appresso quel don Michele rettore della terra vostra di Gurfigliano; le quali son robe tolseno quelli tristi che assassinarono quella povera donna del Conte Gian Maria da Santo Donnino e il figliolo, che le portarono là; e V.S. per sua grazia, per sue lettere commisero a detto prete le tenesse appresso di sè, ne le dovesse dare senza licenza di quelle. Il perché queste robe, se sono di quelle del Conte, si spettano alli Frati e Monache qui di Santo Francesco, che sono eredi, e a uno altare: se anco sono di quelle di quelli assassini si spettano alla Camera del mio Illustrissimo Signore. E perché quelli ribaldi su ciò molestano il Prete, e le vorrebbeno; per tante, acciò non si possino gloriare di avere la roba e morte le persone, e che la sia data a chi si spetta, V. S. siano pregate, e anco per la giustizia, commettere al suo magnifico Vicario di Castiglioni, mandi per dette robe per parte di quelle, e me le facci portare qui a me; e io molto bene farò pagare li portatori e a V.S. mi raccomando offerendomi ad similia. Castelnuovi Garfagnane, 7 septembris 1524 ».