S. PELLEGRINO (da R.Raffaelli)
Esiste sull’Alpe di Castiglione un\’antichissima chiesa denominata S. Pellegrino, dapoichè uno sconosciuto di tal nome, recatosi ad abitare nelle folte boscaglie che coprivano i dossi dell’Appennino, allora denominate Termesalone, vi morì dopo diversi anni in concetto di santità.
Chi fosse costui è assolutamente incerto, come lo sono l\’epoca della venuta e della morte di lui.
Molti sono gli autori che scrissero di S. Pellegrino, ma altrettante sono pure le contraddizioni che in essi riscontrasi, essendo favolose le antiche leggende del Santo, cui essi hanno attinto. Nè maggior luce si ha dai Bollandisti, i quali danno in vero quella leggenda, ma la qualificano fabulosa e il di più hanno ricavato da cronisti e scrittori lucchesi.
Una storia stampata in Bologna, di autore incerto, riferisce che S. Pellegrino morì l’anno 462, in età di 97 anni. La Cronaca manoscritta in pergamena, che dicesi rinvenuta nelle pareti della chiesa delle Alpi, accenna che il Santo passò ad altra vita l’anno 643. Il Franciotti afferma che S. Pellegrino venne in Toscana nel 624 e morì nel 643. Ne scrissero pure il Vedriani, il Dott. Rossi di Modena, il Sacerdote Adami di Bologna, ed altri; ma chi crede la morte avvenisse nel 400, chi nel 462, chi nel 463, ed altri nel 772, alla qual’epoca peraltro non si fa parola né della chiesa, né del monte di S. Pellegrino, nel diploma di Carlo Magno dell’anno istesso (1), in cui sono notati assai esattamente i confini della Diocesi di Reggio colle altre ad essa contermini.
Alcuni asseriscono che l’istesso S. Pellegrino lasciasse notizie di sé medesimo mediante un intaglio fatto in un legno, da cui appariva avere in quell’epoca 93 anni; ma questo pure ritiensi una favola.
Altri dicono che mentre S. Pellegrino moriva, era Vescovo di Lucca Leto, il quale fece parte del Concilio di Roma celebrato nel Palazzo Laterano sotto il pontificato di Papa Martino nel 649; e questa circostanza convaliderebbe la opinione del Franciotti rapporto all\’epoca della morte del Santo.
Cade poi in gravissimo errore quando dice che, appena conosciuto tale avvenimento, molti Vescovi della Toscana, del Modenese e della Romagna accorsero sul luogo a visitarne il cadavere; e quelli che più si mostrarono persuasi della Santità di Pellegrino furono Severo Vescovo di Ravenna, S. Gemignano di Modena, ed il suddetto Leto Vescovo di Lucca, i quali unitisi fecero immediatamente costruire una chiesa in quella località per riporvi il corpo di S. Pellegrino, e di un suo compagno per nome Bianco, che ritiensi andasse ad abitare in quelle montagne per riverenza, ed affezione per S. Pellegrino. Ma questa asserzione cade di per se stessa, se si rifletta che S. Gemignano morì il 31 gennaio del 397; e Leto viveva nel 649.
Il Dempsterio, nella Storia ecclesiastica di Scozia, aggiunge la stessa notizia (sulla fede di altro autore della vita di S. Pellegrino) e narra come assistessero alla sepoltura di detto Santo molti Vescovi dell’Etruria con 27 altri della Gallia Cisalpina, con S. Geminiano di Modena, S. Severo di Ravenna, e il Beato Alessio Vescovo di Pisa; ma oltre gli errori di data sovraccennati, il Tronci, l’Ughelli ed altri affermano che nell’anno 643, era Vescovo di Pisa un Alessandro, e non Alessio, ed il Sollerio chiama spacciatore di favole il biografo cui appoggiasi il Dempsterio, e questi celebre a raccontarle. Né a torto, dapoiché non solo egli inventò molte cose per accrescerne la gloria degli Scozzesi, ma riportò persino fra i Vescovi Pisani parecchi non mai esistiti.
Il più accurato di quanti hanno lasciate memorie certe, o almeno probabili sul nostro santo è l’Abate Domenico Barsocchini lucchese (2). Egli dice che: « Pellegrino nacque (secondo narrano certe antiche cronache) nel Regno di Scozia circa l’anno di Cristo 600; si portò a Gerusalemme a visitare il Santo Sepolcro e gli altri luoghi santi della Palestina; venne poscia in Italia (alcuni soggiungono, sbarcando in Ancona) a visitare la chiesa di S. Michele Arcangelo, già eretta a piè del Monte Gargano, indi le chiese di Roma, da dove finalmente partì verso le Alpi di Castiglione di Lucca (nominate in antico, secondo alcuni storici e geografi, le montagne di Leto, di Balista e di Anido) per ivi passare il rimanente della sua vita; e dopo aver vissuto diversi anni in quelle boscaglie, vi morì verso la fine del secolo VII ».
Fu allora che il nome di quella montagna si cangiò in quello di S. Pellegrino, ed in un necrologio del XII secolo sotto il giorno 19 settembre trovansi queste parole: « Obiit Gottifredus Rosso de Sancto Peregrino ». E da ciò può facilmente dedursi che la montagna stessa aveva cangiata la sua denominazione. In tanta incertezza sulla persona, sulla patria, sulla vita e la morte di Pellegrino, come di quella del suo compagno, per nome Bianco, non resta di positivo se non che egli fu sempre tenuto in concetto di santo, e come tale ebbe culto e venerazione, ed a suo onore si edificò sull’Alpe di Castiglione in un piccolo ripiano a 1460 metri sul livello del mare un Oratorio, ove riposa il corpo del medesimo e di S. Bianco.
Quindi sebbene di ambedue potesse esistere qualche fondo di verità nelle favole delle Leggende che li riguardano, pure sarebbe impossibile separare l’una dalle altre, essendo ciò superiore alle forze della critica più accurata e perspicace, principalmente per l’assoluta mancanza di documenti autentici contemporanei, o almeno di una certa antichità, su cui appoggiarsi.
Restringendomi pertanto a ciò solo che è positivo, accennerò che, oltre all’antichissimo Santuario dedicato ai SS. Pellegrino e Bianco, fu fabbricata in quella località e presso la chiesa una casa detta Ospedale, nella quale abitarono alcuni frati che ne avevano la custodia, provvedendo ai viandanti che transitavano l\’Appennino per quella parte, ove nell’anno 1077, erasi aperto un varco verso le Provincie Modenesi (3).
In seguito il Duca Alfonso II vi fece erigere dalle fondamenta un locale ad uso locanda, che anche attualmente vi esiste.
Federigo Barbarossa nel 1168 donò a quel santuario 4 miglia di terreno intorno (4) alla chiesa, dopo che un suo nipote per nome Adriano ivi condotto infermo (la cronaca dice ossesso) ebbe ricuperata completamente la salute. Questa donazione fu poi confermata da Federigo II l\’anno 1239, ad istanza di Gualdo Maestro dello Spedale (5).
Rapporto alla chiesa leggesi nel Diario delle chiese lucchesi di Monsig. Gio. Domenico Mansi che il Pontefice Alessandro III perseguitato dal suddetto Imperatore Barbarossa, fuggendo da Roma per recarsi in Francia nel 1166, passò da S. Pellegrino in tempo che si fabbricava la chiesa, cui concasse indulgenza plenaria pei mesi di maggio e di agosto. II Paolucci conferma questa notizia, e solo differisce nell\’epoca, stabilendo il passaggio nel 1177; ma il Pacchi con altri storici portarono molte ragioni per dover negare il fatto, asserendo esser positivo che quel Pontefice partendo da Roma per recarsi in Francia, viaggiò per mare fino a Genova, ove giunse il 21 gennaio 1162; e nel ritorno arrivò a Messina e sbarcò poi a Ostia il 20 novembre del 1165 riducendosi a Roma il dì seguente. Ad onta di ciò, questo fatto (sebbene senza indicazione dell\’epoca) si trova riferito nella seconda Lezione dell\’Uffizio di S. Pellegrino in un codice in pergamena, se non anteriore certo non posteriore al secolo XIII (6).
Si è molto quistionato dal Muratori e da altri se il confine fra la Repubblica di Lucca ed il Modenese fosse sulla cima dell’Appennino o presso l’antico Ospedale, ma è positivo che fino dal suddetto anno 1168 questo apparteneva alla Diocesi lucchese, come risulta dalla Bolla di Papa Alessandro III, diretta al Pievano di Pievefosciana sotto il giorno 23 dicembre di detto anno; e come del pari risulta dal registro di Cencio Camerlengo dei Censi della Chiesa Romana fatto nell’anno 1192, in cui l’Ospedale di S. Pellegrino dell’Alpi, soggetto al Vescovo di Lucca, era tassato di 3 oboli d’oro (7) e di 4 libbre di cera. Di altrettanto fanno fede eziandio diversi istrumenti del 1284, 1286 e 1288, rogati parte nell’Ospedale stesso per mano di Rolando notaro pubblico di Castiglione, parte in quel Castello dal notaro medesimo, e da un altro per nome Lanfredo di detto luogo. Tali strumenti concernono le vendite di alcuni beni dell\’Ospedale di S. Pellegrino esistenti a Lucca, che furono acquistati da quei PP. Domenicani. Anche nella descrizione delle chiese di Comunità e Diocesi lucchese tassate di decime per la crociata, vedesi lo Spedale di S. Pellegrino cum cellis quas habet nella Provincia di Toscana, libbre 200.
Finalmente in un libro del 1260 in cui per ordine del Vescovo di quell’epoca Enrico I (8) sono scritte le stime delle possessioni ed averi della sua Diocesi, vi si legge sotto la Pievefosciana anche il suddetto Ospedale di S. Pellegrino.
Ciò nullameno, per quando la chiesa e lo Spedale fossero di fatto nel possesso dei Lucchesi, pure nell’anno 1216, i Modenesi recaronsi in quel luogo a ricevere il Re Arrigo figlio di Federigo II, che dalla Toscana passava in Lombardia, asserendo (come risulta da un istrumento del 1336, rogato da Pietro di Giovanni da Montestefano, esistente nel R. Archivio di Stato in Lucca) esser quello il confine giurisdizionale di Modena.
In una pergamena del 1286, esistente nell’Archivio suddetto che già appartenne ai PP. di S. Romano, vedonsi i nomi dei frati che a quell’epoca erano a S. Pellegrino nell’ordine seguente.
1. Bonaccorso Rettore, Amministratore e Maestro dello Spedale di S. Pellegrino dell’Alpe. 2. Fra Pellegrino. 3. Fra Guicciardino. 4. Fra Gemignano. 5. Fra Pietro. 6. Fra Marano. 7. Fra Guglielmo. 8. Fra Parmesano. 9. Fra Marco. 10. Fra Bergo. 11 Fra Jacopino. 12. Fra Aldebrando. 13. Fra Lucio. 14. Fra Landuccio. 15. Fra Baruffo. 16. Fra Gherardo. 17. Fra Guidiccio. 18. Fra Lucarello.
Questi adunati in capitolo eleggevano e costituivano altri due conversi, cioè, Fra Bernardino e Fra Giovanni, Sindaci ed attori dello Spedale. Da una prece dei medesimi umiliata a Papa Nicolao IV risulta che nel 1288 erano in numero di 21.
Esistevano ancora nell’anno 1384, e nelle carte dell’Archivio Arcivescovile di Lucca vedonsi ordini a quei frati di questuare pel pio luogo, non solo per la Lombardia e per la Toscana, ma per la Marca di Ancona, per la Romagna, e per sino nella Sicilia, a condizione che rendessero esatto conto al Camarlingo dello Spedale delle questue fatte. Essi ricevevano ed assistevano i passeggieri che transitavano per quella strada, o visitavano il santuario.
Nei tempi posteriori però è incontrastabile, che del territorio di S. Pellegrino fu data investitura in termini distinti da quella del rimanente della Garfagnana, al Marchese Niccolò III d’Este dall’Imperatore Sigismondo nell’anno 1433; confermata il dì 11 novembre 1509 da Massimiliano I al Duca Alfonso I. In ambedue gli atti relativi si legge: Terra e territorio chiamato di S. Pellegrino delle Alpi fra le città di Modena e di Lucca. Allo stesso Alfonso I ne fu rinnovata la conferma da Carlo V il 5 ottobre 1526; e sotto il 17 decembre 1535, al Duca Ercole II. Fu per ciò stesso che ai Duchi Estensi appartenne mai sempre l’approvazione del Rettore pro tempore dell’Ospedale in discorso.
Intanto la chiesa dopo essere stata migliorata nel 1166, come dice il Mansi (egli scrive riedificata, ma nulla indicandone la caduta, è a ritenersi fosse migliorata, risarcita ec.) rimase per qualche tempo quasi abbandonata a causa di pestilenze e di guerre, fintanto che Leonello figlio di Jacopo dei Conti De’ Nobili di Castiglione, allora Rettore di S. Pellegrino ed Abbate di Frassinoro, la fece restaurare, e probabilmente ampliare, nell’anno 1462, e vi pose la seguente iscrizione.
HOC OPUS FECIT FIERI DOMINUS LEONELLUS OLIM D. JACOBI DE CASTILLIONE GARFAGNANAE ABBAS DE FRASSINORO ET S. GEORGII DE LUCA PRAEPOSITUS NEC NON RECTOR S. PEREGRINI DE ALPIBUS FACTUM DIE PRIMA AUGUSTI 1462.
Fu allora che la famiglia De’ Nobili ottenne da Papa Pio II, nell’anno 1464 il giuspatronato perpetuo della chiesa e dell’Ospedale in discorso, e dei beni che ne formano le proprietà. Il primogenito della medesima è de jure Rettore di S. Pellegrino (quantunque secolare) come apparisce da un breve Pontificio che si conserva presso la famiglia stessa, la quale essendosi in oggi diramata in altre due, il diritto di giuspatronato passa dall’una all’altra con certe regole fra loro determinate.
Jacopo figlio di Benedetto De’ Nobili nipote di Leonello, nel 1472 successe allo zio come Rettore, e fece costruire un’urna di marmo ove depose le reliquie del Santo colla seguente iscrizione.
JACOBUS DE NOBILIBUS LUCENSIS DOCTOR EQUES ET COMES AC HUJUS HOSPITALIS RECTOR NATIONE TUSCUS PATRIA LUCENSIS QUI IPSE VIVENS TIBI O BEATISSIME PEREGRINE BENEMERITO HOC INSIGNE MARMOREUM SEPULCRUM SUPERIS FACENTIBUS POSUIT.
Come Leonello fu riconosciuto nell’accennata sua qualità di Rettore di S. Pellegrino dal Duca Ercole I con privilegio del 21 ottobre 1471, così pure ne fu approvato il nipote di lui Jacopo dallo stesso Sovrano il 3 gennaio del l472; e poscia d\’Alfonso I sotto il primo dicembre 1506.
Quello Spedale fu arricchito di grosse rendite da diversi Principi e Signori, ma molte memorie a ciò relative sono andate smarrite.
Antiche vertenze relative ai confini della Garfagnana fra Modena e Lucca, non solo per S. Pellegrino, ma per altri luoghi eziandio, erano state agitate presso il Consiglio Aulico di Vienna; e ritornarono in campo nell’ottobre del 1731. Per accordo procurato fra le parti, col mezzo del Cardinale Grimaldi, allora Nunzio presso l’Imperatore d’Austria, fu rimessa la cosa all’arbitraggio del Cardinal Petra a Roma. Nell’Archivio Lucchese trovansi tutti gli atti relativi presentati al Consiglio Aulico dalla Repubblica contro il Duca di Modena, e quelli da questo esibiti nel 1731. La supplica dei lucchesi all’Imperatore introduttiva del giudizio porta la data del 28 giugno 1729, e la fine del medesimo fu la petizione per proroga del 22 gennaio 1732, che poi restò indefinita. Era Procuratore della Repubblica Filippo Lippi lucchese, il quale scrisse analoga allegazione a sostegno delle ragioni della medesima nel 1733, convalidandola con documenti.
Altre scritture furono pure esibite al suddetto Cardinale Petra per parte del Duca di Modena, per provare i suoi diritti sulla strada di S. Pellegrino ed i luoghi di Roncagliana, Bieri, la Custia, e Fiume in quelle montagne. Nel 1734 il Cardinale Petra, mediatore, emetteva la sua decisione quanto al primo e secondo capo della vertenza, cioè relativamente alla chiesa di S. Pellegrino, allo spedale, alla osteria ed alla piazza. Ma non si acquietarono a questa decisione i lucchesi; ed il suddetto Procuratore Lippi produsse altra scrittura in replica a favore dei medesimi.
La controversia rimase per qualche tempo sospesa: ma nell’anno 1740 venne suscitata di nuovo. Da un memoriale dell’Offizio del 31 agosto di detto anno risulta, che la mediazione del Cardinal Petra era riuscita molto sterile: lo che equivale a dire che nulla erasi concluso (9).
Il Rettore di S. Pellegrino (che generalmente è secolare) ha obbligo di tenervi un Cappellano costantemente, il quale, come si è detto, doveva essere approvato dal Governo di Modena. In prova di ciò Monsignor Arcivescovo di Lucca Filippo Sardi il 12 settembre 1818, si dirigeva al Governatore della Garfagnana pregandolo, a nome del Conte Ippolito De’ Nobili Rettore, a provocare dal Sovrano l’approvazione alla nomina del sacerdote Angelo Morelli, in sostituzione dell\’altro Cappellano che vi esisteva.
II Governo Modenese poi per diritto di giurisdizione soleva tenere una guardia di cento uomini in S. Pellegrino durante il mese di agosto, ed il Podestà di Montefiorino vi si portava ad aprirvi la fiera, e ciò a tutte spese di quello Spedale. Nell’agosto del 1819 il suddetto Rettore ricorse al Duca esponendo che, dopo la unione del territorio Castiglionese al Ducato di Modena, era cessata la causa di questo gravissimo peso, per cui ne chiedeva la esonerazione; ma Francesco IV rispose doversi tener ferme le antiche consuetudini fino a nuov’ordine (10). Non soddisfatto il ‘Conte Ippolito replicò il ricorso, corroborandolo di più incalzanti ragioni. Fu allora che il Duca gli fece chiedere in quale uso di pubblica beneficenza intenderebbe erogare quelle somme che fino a quell’epoca erano destinate all’uopo sovraccennato, non dovendosi convertire a vantaggio privato; e nel tempo stesso chiese informazioni accuratissime sulla erogazione dei diversi vistosi redditi che impiegarsi dovevano per l’alloggio e mantenimento dei tanti pellegrini e passeggieri, che continuamente affluivano a quell’insigne santuario (11). A ciò fu risposto dal Conte De’ Nobili, ma ad onta delle sue deduzioni, il 15 luglio 1822, il Governatore di Modena avvertiva quello della nostra Provincia che, dovendosi provvedere al mantenimento del buon’ordine durante la fiera di S. Pellegrino, anche per quell’anno in via provvisoria, e fino a tanto che non fossero fissate massime stabili, senza pregiudizio dei diritti competenti alla Comunità di Montefiorino ed al Governo, dovessero intervenire quel Sindaco con quindici soldati ed un uffiziale, cui il Rettore, oltre al consueto trattamento di vitto ed alloggio, dovesse dare due Francesconi (L. 11.20) al Sindaco e tre (L. 16.80) all’Ufficiale a titolo d’indennità pei mezzi di trasporto (12). Altrettanto venne praticato negli anni successivi fino al 1827 inclusive. Fu allora che il lodato Conte Ippolito De’ Nobili, eccitato dal Governo Estense, incaricò il Canonico Professore Don Pietro Raffaelli di Fosciandora a trattare col medesimo per la sistemazione della vertenza relativa alle retribuzioni che in occasione della fiera di S. Pellegrino star dovevano a carico di quello Spedale.
Aperte le trattative, fu in fine convenuto che il Rettore pro tempore a sgravio dei precedenti suoi obblighi tanto pel mantenimento della truppa, quanto pel vitto ed alloggio dell’Autorità Civile di Montefiorino, dovesse corrispondere a quel Comune Ital. L. 80 all’anno, cominciando dallo stesso 1829, in occasione dell\’apertura della fiera di agosto (13). Il Governo approvando simile transazione volle che il Rettore assumesse sopra di sé il carico di corrispondere l’accennata somma annua ripartita fra quei poveri che avessero presentato ad un suo Commesso (che poteva essere anche il -Cappellano) dei Boni a stampa valevoli ciascuno per una elemosina di centesimi 50; per la quale potevano poi conseguire anche dallo stesso incaricato, a prezzo ragionevole, quelli alimenti più comuni che loro potessero occorrere; e ritenuto in oltre che il Rettore stesso dovesse soddisfare tutti gli altri obblighi di ospitalità, ricovero ed alimento che sono prescritti dalla originaria fondazione del Benefizio di S. Pellegrino. Quei Boni poi in numero di 160, dovevano emettersi da un apposito .Delegato della Comunità di Montefiorino, cui dal Rettore o dal suo incaricato dovevano ritornarsi a fin d’anno, calcolando il più ed il meno, a seconda del numero dei presentati, per versare in caso di differenza nella cassa di quel Municipio. Il Conte Nobili accettò la transazione così formulata; e munitala della propria firma fu dal Governatore inviata a Modena il 23 luglio dello stesso anno 1829 (14).
Nel 1835 essendo insorta questione fra il Rettore di S. Pellegrino ed il Municipio di Castiglione per le legna occorrenti allo Spedale, il Duca Francesco IV, con decreto del 7 luglio di detto anno decise, che il Comune non dovesse alineare nè la proprietà, nè l\’uso dei suoi boschi; ma bensì fosse obbligato ad assegnare di mano in mano quella quantità di legna occorrente al servizio dello Spedale, a fronte di pagamento.
Da un rapporto del Sindaco di Castiglione del 27 settembre 1849 rilevasi che il Rettore pro tempore di S. Pellegrino col prodotto dei beni stipendia un Amministratore generale, un Sottofattore in Castiglione, uno scritturale o computista in Lucca, il Cappellano al Santuario, un domestico pe’ suoi giornalieri servizi, un uomo ed una donna pel servizio dell’Ospedale, e per provvedere a tutte le relative occorrenze.
Oltre agli accennati stipendi sostiene le seguenti gravezze:
Col mezzo del suo amministratore il 2 novembre di ogni anno distribuisce del pane a tutti i poveri che si presentano alla sua abitazione.
Riceve nell’ospizio di S. Pellegrino tutti i poveri pellegrini e passeggieri, dando loro il comodo di far da mangiare, e somministrando il sale, e gli utensili necessari. Oltre a ciò sono a disposizione numero sei letti, cioè 3 per gli uomini e 3 per le donne.
Durante il mese di agosto mantiene 4 Confessori, ed un inserviente per la chiesa e sagrestia.
Paga le pubbliche contribuzioni per tutti i possessi dello Stabilimento.
Passa una pensione vitalizia annua di Italiane L. 450,47 al Sig. Giacomo Ottavio De’ Nobili di Lucca.
Supplisce alla spesa di due feste annue, l’una il primo d’agosto nell’oratorio di Gragnano di Lucca, e l’altra il 29 dicembre nell’oratorio del villaggio di Marcione (15).
E’ a tutto carico del Rettore il mantenimento della casa padronale in Castiglione, e de’ fabbricati appartenenti all’Ospedale medesimo.
Anche mentre io scrivo, il giuspatronato di S. Pellegrino è retto dal Conte Federigo del fu Conte Ippolito De’ Nobili.
In ogni tempo visitarono il Santuario persone di ogni ceto; ed ogni anno nel mese di agosto vi è grandissimo concorso di forestieri. Fino al 1859 ogni tre anni una confraternita numerosissima partiva da Lucca recandosi alla venerazione di S. Pellegrino; dandone costantemente avviso al Governatore della Provincia, il quale disponeva affinché ovunque fosse ricevuta e trattata coi riguardi che le erano dovuti.
In oggi il villaggio di S. Pellegrino si compone di numero 7 case, oltre la chiesa, con 68 abitanti, divisi in 8 famiglie, che fanno parte della popolazione di Chiozza.
Note
(1) Esiste nell\’Archivio Capitolare di Reggio di Emilia.
(2) Diario Sacro delle Chiese di Lucca; pag. 183, 84, 85.
(3) In una carta del 1281 pubblicata dal Muratori sono segnati i patti scambievoli fra i Comuni di Modena e di Lucca riguardo alla manutenzione della strada stessa pel reciproco commercio.
(4) Dodici iugeri.
(5) Ciò risulta da istrumento rogato nel 1336, da Pietro di Giovanni da Monte-Stefano, esistente nella Cancelleria della Repubblica Lucchese (Pacchi).
(6) II titolo di detta Lezione è il seguente De inventione ejus sacri Corporis, et Indulgentia ipsius Dedicationis. Il codice suddetto trovansi nella Biblioteca di Bernardino Baroni di Lucca (Pacchi, Dis. XI.).
(7) L\’obolo d\’oro equivaleva ad un fiorino d\’oro, come asserisce Giovanni Cabrospini scrittore del secolo XIV, citato dal Muratori, Antichità Italiane.
(8) Enrico I. della casa Rolandinga fu il 63.° Vescovo lucchese, eletto nel 1256 e morto nell\’ottobre del 1269.
(9) Archivio Lucchese; Offizio sopra le Differenze, N. 533-534.
(10) Lettera del Governatore di Modena 20 agosto 1819. Archivio Governativo di Castelnuovo.
(11) Lettera del suddetto 13 giugno 1820. Archivio suddetto.
(12) Atti Governativi N. 6020, del 1822. N. 1135 del 1823.
(13) Dispaccio del Governatore di Modena, 17 luglio 1829.
(14) Atti Governativi, N. 5234.
(15) Vedi MARCIONE